Birdwatching in Ungheria Il taccuino per un birdwatcher è uno strumento importante, necessario. Ci si annotano le osservazioni, le impressioni, i ricordi ornitologici. Queste sono in sintesi le raccomandazioni dellautore di un manuale di birdwatching. Una cosa molto importante è quella di non segnare mai sul taccuino un avvistamento di cui non si è certi: una piccola questione donore, anche per noi birdwatchers. Con landar del tempo il mio taccuino si è riempito di osservazioni essenziali, fatte nei luoghi adatti, nella stagione stabilita, data, ora e tempo; scrivo anche i nomi degli amici con cui faccio unescursione. Dunque leggo dal mio taccuino, un libretto che sta in tasca e ha un elastico che lo tiene unito. Aquila imperiale "Il Danubio" grida qualcuno. Lannuncio ci scuote dal torpore della notte passata in treno distesi in cuccetta. Motivo per alzarci e andare al finestrino. Il Danubio scorre fra due rive piatte cementate da brutte costruzioni di periferia: largo, imponente, dallo scorrere sonnolento, acque torbide; non è il fiume blu del valzer famoso. Il sole splende in unatmosfera autunnale. Siamo prossimi allarrivo, stazione di Budapest Est; il treno è puntuale, quasi mezzogiorno. La nostra guida ci accoglie sorridente: un bel viso largo, occhi azzurri, sguardo attento. É János Világosi. Agronomo, collaboratore del parco nazionale di Hortobágy. É considerato uno dei migliori birdwatchers e naturalisti di Ungheria. I rapaci sono la sua passione. Un buon pranzo allhotel Szönyi crea unatmosfera gioiosa nel Gruppo. Il tradizionale brindisi con un bicchiere di vino bianco è il rituale che dà il via a questa avventura. Siamo in 19 persone, appassionati birdwatchers; ci conosciamo da tempo e abbiamo giá delle esperienze in comune. Questa è la prima volta che staremo assieme una settimana. János comunica che le Gru sono arrivate, sono almeno 30000. Soddisfazione corale. La certezza di vedere le Gru diminuisce la tensione dellattesa e ognuno si predispone con calma e gioia ad affrontare le prossime ore in pullman. Andiamo a Debrecen. Autista è Kaspar. Un tipo robusto, dal torace possente da cui letteralmente pendono due braccia capaci di sollevare con assoluta disinvoltura la valigia piú pesante senza che il largo sorriso diventi una smorfia. Faccia abbronzata, dai lineamenti vagamente orientali, degli Urali forse? Conduce il suo mezzo con perizia e senza fretta. É un pullman non particolarmente lussuoso, abbastanza comodo anche se alcuni sedili hanno urgente bisogno di un nuovo rivestimento. Il pavimento è segnato dal passaggio di tanti passeggeri, forse anche loro con scarponi e stivali. I poggiatesta sono bianchi e puliti: ci si puó rilassare. Cè spazio per sedersi in due o per stare soli: ci si sente liberi. É il mezzo che ci vuole, un pullman per birdwatchers. Sono le quattro e siamo nei dintorni di Poroszló, tempo per una sosta. Ci infiliamo in una strada in mezzo ai campi, veramente è una pista di terra battuta. János propone una piccola passeggiata. É una buona zona per rapaci. Osserviamo attentamente lambiente nuovo. Voli di numerose Poiane, in migrazione; ne contiamo almeno dieci. Buona presenza di Gheppi, sono sei in poco tempo. Nellaria volano dei fili bianchi, svegliano il nostro interesse. Ne prendiamo uno che si è impigliato in un arbusto. É di materiale setoso, sembra un filo di ragnatela. János ci spiega che è di un ragno, frequente nella puszta. Appare unaquila allorizzonte, fa un volo di ricognizione e si posa su un albero. Inutile tentare di identificarla, troppo lontana. János ci incoraggia ad avvicinarci. Di buon passo il gruppo segue il consiglio. A terra, davanti a noi, ci sono dei grossi uccelli. Femmine di Fagiano, si rifugiano nei prati circostanti. I maschi, rimasti nascosti, si alzano in volo al nostro passaggio. Controlliamo lalbero: laquila non cè piú. János pensa che sia volata a terra e che si debba proseguire. Il consiglio è buono. Eccola di nuovo in volo, volteggia ad ali piatte, la testa è chiara, si vede distintamente. Ha un volo regolare, sotto è scura, soggetto adulto. Siamo incollati ai binocoli e in una grande tensione aspettiamo di vedere la parte superiore. Accontentati, laquila fa uno scarto e si abbassa. Ha due macchie chiare sulle spalle. János annuncia: "Aquila imperiale, soggetto adulto." Entusiasmo alle stelle: è il primo avvistamento per tutti noi. Altre osservazioni, apro il taccuino e scrivo: Cardellini, Pavoncelle con Storni, Averla maggiore in un canneto, Saltimpalo, Corvi frequenti, Cornacchie grigie e nere, Passere mattugia che sinvolano dai cespugli. Sono le cinque quando arriviamo ai confini del parco nazionale: Hortobágy. Paesaggio piatto, campi immensi di granoturco pronti per il raccolto, campi di terra scura appena arati, praterie infinite che si uniscono con il cielo allorizzonte. Boschetti di robinia e giovani querce ai margini della strada. Ci sono file di tamarischi, prova dellesistenza di prati salmastri. Alcune costruzioni rurali rettangolari e lunghe con muri bianchi e tetto di paglia. Sono le stalle del bestiame che si vede pascolare: mandrie di mucche, di cavalli, greggi di pecore. Il sole è ormai un disco rosso allorizzonte: sta per tramontare. Le Gazze sono numerose, il loro volo è inconfondibile per il modo di battere le ali, quasi affannoso, e per la lunga coda. Dal pullman le osservazioni sono comode e interessanti. La nostra guida, seduta in prima fila interrompe a tratti il conversare melodioso in ungherese con lautista per avvisarci con voce forte e chiara di fare attenzione sia a destra che a sinistra. Kaspar collabora fermandosi o annunciando di non scomodarsi se il rapace annunciato è una Poiana: le conosce bene. Prosegue la lista delle osservazioni fatte attraverso il finestrino. Le prime quattro Gru in volo, una famiglia. Poi un Airone bianco maggiore e una Cicogna bianca a sinistra, Sparviero in volo sulla destra, Tortore abbastanza diffuse in ogni localitá. Civetta su un camino, sfuggita ai piú, a pochi chilometri da Debrecen. Una cinquantina di Strillozzi sui fili, anche loro a sinistra. Non posso segnare la prima Poiana calzata perchè lavvertimento di János ci aveva colto di sorpresa. Aggiungo anche tre caprioli visti correre. Entriamo a Debrecen che fa buio. É la seconda cittá per importanza dopo Budapest. La sua periferia assomiglia a quella di altre cittá del mondo: supermarket enormi, dancing, auto di occasione, luci gialle che illuminano i parcheggi, adesso ancora frequentati, perché nonostante sia domenica i centri commerciali sono aperti, Mediamarkt incluso. Ci ritroviamo a cena in albergo, dove solerti e velocissimi camerieri ci servono del filetto di maiale con patate fritte in sei modi diversi. Nel Gruppo cè motivo di festeggiare: il primo avvistamento dellAquila imperiale, delle Gru; ma soprattutto si brinda alla settimana che ci attende. Gru La nebbia sorprende tutti. Non è la sua stagione, spiega János, ma sicuramente si alzerá presto; le previsioni meteo sono buone, anche per i prossimi giorni. Sono le otto e aspettiamo solo che Kaspar metta in moto: direzione Hortobágy. "Debrecen è una parola slava e significa la buona terra" cosí inizia il suo racconto János, che ha promesso di parlarci dellUngheria, della sua storia, della sua gente, dei suoi animali. Lo si ascolta volentieri mentre ci trasferiamo verso la prossima meta. Apprendiamo della terra nera delle campagne intorno Debrecen: terra fertile, portata dal vento dalle pianure ucraine nei tempi primordiali. Ascoltiamo le origini della Puszta di Hortobágy. Una grande pianura, uno dei maggiori territori erbosi protetti dellEuropa, pianura senza alberi e poco popolata. Fino agli anni 50 del secolo scorso nella puszta si praticava esclusivamente una pastorizia estensiva. Due carri trainati da cavalli ci attendono per portarci al grande stagno di Hortobágy (Hortobágyihalastó), circa dieci chilometri di pista dentro la puszta. La nebbia non accenna ad alzarsi. Si traballa e ci si stringe nelle giacche a vento; la temperatura dellaria lo richiede. É una novitá andare su dei carri in un ambiente cosí nuovo e piace a tutti. La puszta è enorme, grigia. Si avverte un senso di solitudine. Aspettiamo il sole, che giá intravediamo. Il richiamo di una Pispola in volo ci ricorda che non siamo una scolaresca in gita. Poi si sente una Gru, che sbuca dalla nebbia davanti a noi. Si odono i Chiurli e poi i Beccaccini. Le voci tacciono, i binocoli sono a portata di mano. Altre Gru che volano basse. János ci indica le giovani Gru, dalla testa color marrone e dallinconfondibile richiamo stridulo che le distingue dalle Gru adulte. Impazienti guardiamo lorologio: sono le dieci e mezza e neanche un filo di vento che aiuti a spazzare via la nebbia. Siamo sullargine dello stagno, da cui ci separa un canneto. In questo punto le canne sono piú rade e basse. La nebbia si dirada e intravediamo una confusione di uccelli in volo. Sembra che tutti gli uccelli si siano alzati dallo stagno, come se fossero minacciati. Un rapace di notevoli dimensioni vola diritto verso di noi. Entusiasmo in contenuto: unAquila marina. Ancora un primo avvistamento per la maggioranza. Poi è un continuo annuncio di nuovi arrivi: Albanella reale femmina, richiamo di Pendolini, volo di Allodole, Oche selvatiche in volo, Totano moro anche in volo. Scrivo sotto dettatura: Migliarino, Oca lombardella, Tordela (2), Airone cenerino, Cormorano minore, Aquila di mare di nuovo, Falco di palude, Oca lombardella minore in volo. Dallargine si vede finalmente lo stagno. Ha poca acqua, lo hanno svuotato per raccogliere il pesce che vi si alleva. Appaiono centinaia di uccelli. I cannocchiali vengono puntati e si incomincia ad identificare gli ospiti presenti. Cè una Spatola, che pendola la testa a destra e sinistra con il becco nellacqua, alcuni Aironi bianchi maggiori, anatre, limicoli. Alle nostre spalle si avvicina una mandria di bovini grigi. Le loro corna sono impressionanti: passano oltre senza occuparsi di noi. Sono da poco passate le undici e il sole splende in un cielo azzurro: la nebbia è scomparsa in un attimo. Aquile marine a terra, dalla posa obliqua, non eretta: becco possente, decisamente giallo. Si contano: sono sette. Una sinvola. Ha un volo pesante, maestoso. Plana sullacqua e riprende quota con un pesce negli artigli. Tre aquile la inseguono. Ognuna vuole appropriarsi dellunico pesce. Giravolte, planate, scatti di ali. Siamo tutti con il naso allinsú e non perdiamo lattimo in cui laquila inseguita lascia cadere il pesce, che viene artigliato in volo da quella piú vicina. Atterrano e ritorna la quiete. Aggiorno la lista con laiuto dei presenti.Oche selvatiche, persino una raganella, richiamo di Basettini, due Pittime reali, Cormorano, Gabbiano comune, Gabbiano Larus cachinnans, Cornacchia grigia, Piovanello, Combattente, Mestolone, Canapiglia, Alzavola, Germano reale. Mezzogiorno. Ci spostiamo verso unaltra apertura del canneto, piú vasta. János fa il pishing. Sembra che pronunciando la parola pish pish in successione richiami lattenzione degli uccelli del canneto. Ci sorprende invece un volo di cervo volante femmina; sembra sbucato dal nulla. Anche qui sono radi. Sono costretto a scrivere: Oca lombardella, Oca lombardella minore, Oca granaiola. Ascoltiamo con attenzione i criteri per distinguere le Oche lombardelle da quelle minori; anche loro prime osservazioni. Dopo tre quarti dora si ritorna. Di nuovo sui carri; temperatura tiepida, ideale. Aggiungo con scrittura tremolante le osservazione fatte dal carro: Astore, Cormorano minore, Pispola. Lorologio segna luna quando entriamo nella Csárda di Hortobágy. Ci servono dellottimo gulasch. Un trio zigano dà il suo meglio per allietare il nostro pranzo: violino, cembalo e contrabbasso sono i loro strumenti. Poi cè tempo per visitare il Museo dei Pastori e ammirare il ponte di pietra a nove archi". Il Gruppo si ritrova davanti al pullman alle tre meno un quarto. János ci sorprende e conquista definitivamente la nostra simpatia e fiducia. Ci accompagna sotto un albero nel bel mezzo del villaggio e ci dice di guardare in sú. Anteprima in assoluto. Prima uno, poi due, altri tre nascosti da un ramo, due piú indietro coperti dalle foglie, uno con gli occhi aperti, unaltra che si pulisce con le zampe e sembra un gatto, i cornetti ben alzati: sono Gufi comuni che passano la giornata in gruppo. Cé chi conta e riconta i Gufi e il conto non ritorna. Ci accordiamo sul numero di 17. Unora dopo siamo allo stagno Derzsi, questa volta con acqua. Ottima visibilitá e temperatura ideale. Le zanzare sono poco sopportabili e dagli zaini compaiono velocemente gli appositi spray. Osserviamo: Moretta tabaccata (30), Tuffetto, Cormorano minore (4), Svasso piccolo (2), Martin pescatore sempre ammirato, Chiurli, Moriglioni, Morette, Marzaiole, Folaghe, Mignattino (2), Gallinella dacqua, Gabbianello, che scompare troppo presto dalla vista. La lontra comune lascia tracce evidenti del suo passaggio intorno allo stagno. Trasferta verso il nord del parco, per osservare le Gru che si radunano nei loro dormitori. János cerca il posto di osservazione piú favorevole, un posto che sia sorvolato dalle Gru e che offra possibilitá di stare nascosti dalla loro vista. Per strada, sui fili della corrente, sia a destra che a sinistra, vediamo 4 Averle maggiori, decine di Strillozzi. Allentrata del paese di Tiszacsege una grossa mandria di bovini con corna corte e pelle macchiata ha invaso la strada. Siamo costretti ad aspettare che passino. Intanto ascoltiamo la loro storia. Sono lincrocio riuscito fra bovini grigi e bovini del Simmental. Animali che possono offrire una buona quantitá sia di carne che di latte; hanno dimostrato di sopportare bene il clima della puszta. Il bestiame è una ricchezza, tanto che nella lingua ungherese la parola bovino ha preso il significato di patrimonio. Le Gru che si fermano nella puszta di Hortobágy provengono dalla Finlandia; ci impiegano una settimana alla velocitá di 200/300 chilometri al giorno. Poi si rifocillano per un mese beccando granoturco nei campi; bacche e radici nella praterie. Ripartono in direzione sud, Italia, fino in Sicilia: cinque giorni. Sorvolando il mare raggiungono la Tunisia. Poco prima delle cinque e mezza siamo nel posto ideale, una fattoria ai margini della puszta; la luce è buona. Abbiamo notato che trovandoci piú ad oriente fa buio prima. Ci mettiamo a ridosso di una tettoia, le Gru sono giá in volo e non devono essere disturbate: potrebbero cambiare rotta. Intanto annoto subito: due Codirosso spazzacamino, una Civetta. Giro di orizzonte con i binocoli. Formazioni di Gru a"V", in fila, provenienti da nord. Versi di contatto degli stormi: un crrr" in crescendo. Più si guarda e piú appaiono allorizzonte sempre piú numerose file dopo file, una dietro laltra, incessanti, lenti ma costanti. Ora non occorre defilarsi. Il cielo è oscurato dalle Gru e noi ci sentiamo dei piccoli spettatori. Ci si guarda intorno girando su sè stessi, la testa tesa allinsú. Il binocolo non serve piú. Il sole è una palla rossa allorizzonte e il cielo sincendia. Le migliaia e migliaia di Gru diventano delle siluette nere, dal volo maestoso e potente, il collo esteso. Ma quante saranno? É uno spettacolo primordiale. Il buio ci sorprende; siamo sempre immobili con lo sguardo al cielo. Le Gru sono diventate ombre fuggenti, i loro richiami sembrano piú intensi. É passata unora: soddisfatti prendiamo posto nel bus. Abbiamo vissuto un avvenimento, eccezionale, per noi unico. Ci comunichiamo questo sentimento con sguardi di assenso. Fino a Debrecen János ha lopportunitá di raccontarci un aneddoto storico, in cui le Gru fecero il loro ingresso nella storia dUngheria. Un giorno del 1635 i Turchi sconfissero gli Ungheresi in battaglia. Questi si ritirarono in una palude e fecero alzare in volo le Gru che vi pascolavano pacifiche. Il crrr" e cruuuc" delle Gru fu cosí forte che i Turchi credettero di venir circondati da rinforzi e si sbandarono. Inutile aggiungere che la vittoria arrise agli Ungheresi. Domani andremo a vedere le Otarde e la sveglia deve essere anticipata. Otarda Partenza anticipata di mezzora: sono le sette e mezzo quando il pullman lascia il parcheggio dellalbergo. La nebbia persiste su Debrecen e tutta la regione circostante. "Si vedranno le Otarde?" è la domanda che subito ci poniamo. János si è giá accordato con il dottor Kovács del Parco nazionale e capo del progetto"Otarde", che ci fará da guida. Ci assicura che ieri sera il dottor Kovács ha giá localizzato le Otarde. Dobbiamo andare oltre Hortobágy, a Nagyiván. Abbiamo tempo per ascoltare le informazioni della nostra guida. Le Otarde, uccelli piú adatti a camminare e a correre per via del loro peso, sono sempre stati dei trofei ambiti. Nel parco ce ne dovrebbero essere dai 100 ai 150 esemplari. Caccia naturalmente proibita, dal 1963, ma non è mai stato il problema principale. Lagricoltura rappresenta invece un problema per la loro conservazione, per via delle monocolture. Le Otarde devono poter trovare piante contenenti proteine; anche i topi sono una parte necessaria della loro dieta. Un altro pericolo sono i fili dellalta tensione, soprattutto in caso di nebbia. Poi il gelo e la neve, che diventa un blocco pesante sulle loro piume. In passato, i contadini durante linverno intervenivano spingendo le Otarde al riparo nei fienili. Progetti vari, sia del Governo che di Birdline, si occupano della conservazione e dello sviluppo di questa specie. Il Parco nazionale ha fatto accordi con i contadini perchè in autunno abbiano a seminare la colza, in modo che durante linverno le Otarde possano nutrirsi di queste foglie. Si cerca di evitare che le Otarde migrino a sud, verso lItalia, da dove ne tornano ben poche. Se nevica i contadini sgombrano i campi di colza dalla neve. Nagyiván è un tipico paese della bassa pianura. Le case sono una costruzione rettangolare dai muri bassi, intonacati di bianco; caratteristico è il tetto di paglia. Intorno hanno un piccolo orto recintato; insomma quanto dovrebbe bastare per una famiglia. Sono allineate lungo la strada principale da cui le separa un profondo fossato, che serve a convogliare le acque piovane. Il margine erboso a ridosso della casa è largo a sufficienza per un sentiero e per una panchina posta accanto al cancelletto dingresso: serve per osservare comodamente chi passa o per una chiaccherata con il vicino. Kaspar sa dove andare e ferma puntuale alle 08:45 il pullman davanti labitazione del dottor Kovács. Noto che è piú lunga delle altre e ha un tetto di paglia piú spesso; è stata anche intonacata di recente. Non sfugge alla nostra attenzione uno sparviero che sbuca da un orto vicino e sinfila fra i rami di un albero che ci sta davanti, da cui sinvolano decine di passeri. Lo sparviero scompare. Lo aggiungo alla lista. Il dottor Kovács ci saluta in ungherese e non dice una parola di piú. Persona di piccola statura, magro, capelli grigi, occhi celesti. Lo sguardo emana una certa autoritá, non è incline al sorriso. Tiene in mano il cannocchiale montato sul cavalletto color verde marca Manfrotto, il binocolo sta in una custodia di pelle consunta che tiene a tracolla. Veste luniforme verde scuro del Parco con un grosso distintivo cucito sulla manica sinistra della camicia. Si mette in piedi accanto allautista e gli indica la strada. Kaspar ha veramente il pullman adatto. Adesso percorre una larga pista di terra battuta con profonde carreggiate lasciate dai trattori, che qui sono enormi. Evita con cura le buche e il fango. La nebbia non accenna ad alzarsi e quando scendiamo in qualche parte di questa immensa campagna non vediamo oltre i cinquanta metri. Il dottor Kovács controlla lorologio e ordina il silenzio. Ore 09:30. Il Gruppo obbedisce e segue alla dovuta distanza. Camminiamo per 25 minuti su un campo di colza, la terra è umida e si appiccica agli scarponi rendendo il passo pesante. Raccogliamo piume di Gru e di Otarde. Stiamo attenti a non scivolare, dobbiamo essere cauti. Ad un segnale ci fermiamo e dobbiamo attendere. Le Otarde potrebbero essere vicine. Seguendo lesempio delle nostre guide scrutiamo con i binocoli, accovacciati a terra, lo spazio davanti a noi. La posizione aumenta il campo visivo. Silenzio e nebbia. Una famiglia di Gru interrompe la nostra concentrazione. Si sente una Pispola in volo. Dopo mezzora qualcuno avvista unAlbanella femmina. Segno tutto. Andiamo avanti, riusciamo ad essere silenziosi. Controllo lorologio nella speranza che sia lora in cui la nebbia si dovrebbe alzare; sono le 10:55. Il mio vicino trova una raganella e la mostra con gioia; riesce a distogliere lattenzione dei fotoprofessional". Il dottor Kovács avanza ancora di alcune decine di metri, poi si mette immobile dietro il suo cannocchiale, János gli sta accanto. Mi avvicino a loro. Il grosso del Gruppo è rimasto intorno alla raganella, giá vista ieri ma sembra sia una raritá. Silenzio. Sono passati cinque minuti, mi abbasso e scruto. Quattro Otarde sono a portata di binocolo, un capriolo pascola accanto. UnOtarda fa la ruota per alcuni secondi, subito imitata da una seconda. Osservo e conto. Faccio segno a János e gli mostro la mano con le quattro dita aperte e il pollice chiuso. Ricevuto. Arrivano tutti. Nove cannocchiali sono subito allineati e sistemati piú in basso possibile. La tensione è alta. Ci si aiuta a trovare il punto giusto. Gioia visibile sui volti. Il dottor Kovács decide che le Otarde non devono essere disturbate oltre e si deve retrocedere. É mezzogiorno quando saliamo nel pullman, infangati ma felici. Aggiorniamo la lista e ufficialmente posso scrivere: quattro Otarde maschio e sette Otarde femmine. Stormo di Pispole, richiamo di Allodole, Albanella maschio. Kaspar ci riconduce con la solita perizia e calma al paese del dottor Kovács. Lo salutiamo con un caloroso applauso. Pranzo alluna nella csárda di Patkós. Il tempo concesso è di unora esatta. La nebbia non dirada e quindi è inutile insistere di voler andare, come previsto, nella zona frequentata di solito dal Piviere tortolino durante il passo dautunno. Lalternativa è una pausa folcloristica nella puszta. Andiamo a vedere questi famosi pastori che sono degli abilissimi cavalieri, le loro greggi di ovini racka", le mandrie di cavalli, branchi di bovini grigi e di maiali. János si premura di fornirci le informazioni adatte. Lagronomia è il suo campo e il suo racconto ha un taglio veramente competente, sorretto da una profonda passione per la sua terra. Fare il pastore oggi? No, nessuno ha piú voglia o la passione di farlo. Significa starsene mesi in queste praterie che confinano con il cielo e non avere a disposizione nessuna delle comoditá dei nostri tempi, cominciando dalla corrente elettrica. Quello che andiamo a vedere non è solo un esempio di una vita che fu, ma è anche lo sforzo di mantenere vivi i pascoli di questa steppa e di garantire la conservazione delle antiche razze di bestiame ungherese, che sono state reintrodotte.Tutto questo è anche un contributo determinante per la protezione di questa natura. Andiamo di nuovo sui carri trainati da cavalli, è divertente. Scambiano i binocoli con le macchine fotografiche, stiamo avvicinandoci alla prima mandria di bovini grigi. Imponenti sono le corna e vederne cosí tante assieme, cosí vicino, mettono addosso un certo timore. Ma sono animali mansueti, ruminano senza lasciarsi disturbare dalla nostra presenza. Fotografiamo e traballando proseguiamo. Passiamo nei pressi di un tipico pozzo, altra immagine caratteristica del paesaggio della puszta ungherese. Il nostro conducente ferma i cavalli nel bel mezzo di un branco di maiali, che hanno peli cosí lunghi e folti da potersi confondere senza problema in un gregge di pecore. Questa lana fa da armatura al fango che si appiccica e sindurisce formando una corazza. I maialini di latte trovano comunque la via per succhiare quanto gli spetta: anche loro si son giá fatti la corazza. Dunque, questi maiali hanno un ruolo nella conservazione della steppa. Il Parco Nazionale ha un progetto per il mantenimento dei canneti e limitandone la loro espansione, minaccia per le zone umide. I maiali vengono lasciati liberi nei canneti in zone ben distinte; certo non durante il periodo della riproduzione dellavifauna. Si cibano con le radici delle canne e altre erbe, limitandone cosí la crescita. Le proteine necessarie le forniscono le lumache, che non mancano. Oltre che rimanere puliti, osserva il nostro agronomo e capo del progetto, forniscono unottima carne biologica ad una fabbrica locale di salami, pure loro biologici. Gente pratica gli Ungheresi. Mai visto maiali cosí tanto fotografati e con una luce cosí pessima. La nebbia rende tutto grigio. Poi è il momento di gloria dei cavalli che fotografiamo senza aspettare di scendere a terra. Piacciono a tutti, affascinano. Cosí come la loro storia. János ci fa notare il tipico profilo cadente del muso, caratteristica di questa antica razza ungherese. Le loro origini si perdono nei tempi lontani di secoli, quando i Magyari erano un popolo di nomadi. I cavalli, nel corso della loro storia, sono stati incrociati con cavalli arabi, lillipuzziani e inglesi, nellintento di ottenere cavalli piú veloci e resistenti quando lUngheria forniva cavalli soprattutto agli eserciti; piú robusti e adatti al tiro quando leconomia dei trasporti e lagricoltura lo richiedeva. Dobbiamo affrettarci, i pastori ci aspettano. Sappiamo giá che cavalcano cavalli non del tutto addomesticati, a cui non si puó legare la sella sotto la pancia; per questo chi li cavalca è costretto ad andare sempre di galoppo. I numeri preparati dai pastori sono interessanti. Il tempo di buttare la sella sul groppone del cavallo che giá ci stanno sopra e galoppano in cerchio attorno a noi. Poi si fermano e allo schioccare delle lunghe fruste riescono a far sdraiare i cavalli e salire sulle loro pance. Li rialzano e li fanno sedere come fossero delle persone in poltrona: posa incredibilmente innaturale per un cavallo. Il piú abile dei pastori si esibisce alla fine in un numero con cinque cavalli attaccati fra di loro, tre davanti e due dietro. Lui sta in piedi con una gamba per cavallo sui due di dietro e con lunghe redini guida gli altri tre: tutti assieme galoppano in cerchio. A qualcuno è finito il film prima di questultimo numero e non potrá nemmeno fotografare il gregge di racka sulla via del ritorno. Le femmine di queste pecore hanno le corna come i maschi. Sono corna appuntite dalla curiosa forma a vite e che spuntano oblique fuori dalla testa. Non si notano subito, hanno la testa sempre abbassata, perennemente intente a brucare, strette le une alle altre: un gregge compatto che avanza come fosse un voracissimo bruco gigantesco. Una volta la loro lana veniva filata e si facevano tessuti di feltro per uniformi militari; oggi non trova piú un utilizzo e non esiste nemmeno la tecnologia adatta alla sua lavorazione. Alle quattro siamo nel pullman e riprendiamo le nostre osservazioni. Devo aggiungere alla lista: Averla maggiore sui soliti fili, quattro Cicogne bianche in cerca di cibo, piú di cinquanta Aironi bianchi maggiori sulle distese erbose, qualche Airone cenerino e stimati almeno sessanta Strillozzi anche loro sui fili. Stiamo andando verso Debrecen, ma prima faremo una deviazione per cercare il Falco sacro. Sembra sia facile trovarlo perchè nidifica su piattaforme appositamente installate sui tralicci dellalta tensione. Il Gruppo si anima e qualcuno sfoglia una guida degli uccelli Jonsson, altri il Kosmos, per prepararsi meglio alla vista di questo possente rapace. Kaspar guida per una buona mezzora prima di lasciare la strada principale svoltare a destra in una strada decisamente di campagna, anche se asfaltata. Attirano la nostra attenzione voli a nastro di Pavoncelle in confusione con gli Storni sugli immensi campi, arati da trattori che hanno quattro ruote posteriori enormi. Ci fermiamo e scendiamo. Si vedono i tralicci dellalta tensione, costruzioni a forma di trapezio alte decine di metri, anche loro gigantesche; i bracci, che sono un prolungamento della base minore, sfumano nella nebbia. Le piattaforme sono state poste sulla base minore e vengono controllate ogni anno. I falchi hanno dimostrato di starci bene e si riproducono in modo soddisfacente. I Colombi viaggiatori sono il loro bottino preferito. Su una piattaforma, in un solo anno, sono stati trovati ben quaranta anelli numerati di colombi viaggiatori. János riesce sempre ad ottenere la nostra attenzione. Esaminiamo con i binocoli e i cannocchiali tutti i tralicci dei dintorni. Forse non è il momento giusto: solo Gheppi e Poiane di passaggio. Le famose basi minori sono occupate spesso da piccioni o da file di Storni. Ci riproveremo domani sera e silenziosi prendiamo posto a sedere nel bus, che Kaspar fa subito partire senza sgommare. Si ferma qualche chilometro dopo, in modo piú brusco, sulla strada principale, incurante di chi segue. Mostra il camino di una casa. Ci sta sopra una Civetta, la stessa dellaltra sera. Primo avvistamento per diverse persone, che devono promettere di offrire un bicchiere. Il nostro autista lascia il tempo necessario per stabilire che si tratta di una giovane: la colorazione è piú grigia e sbiadita. Picchio rosso mezzano Sono le otto e siamo tutti seduti nel pullman, pronti per partire. Questa mattina la nostra guida deve avere avuto un imprevisto, arriva con cinque minuti di ritardo; Kaspar lo scusa facendo latto di appoggiare la guancia sulle mani giunte: la mimica non ha bisogno di interpreti. Parte con linconfondibile stile. Prendiamo la direzione opposta, si va verso il parco di Debrecen. La nebbia è al terzo giorno di presenza, ma questo non ha influenza sul nostro interesse piú che vivo e sulla voglia di vedere, piú urgente che mai. Dipendenza da birdwatchers? János ha proposto unescursione nel bosco e promesso almeno un picchio rosso mezzano e un picchio nero. I positivi commenti dal Gruppo confermano la possibilitá di altri primi avvistamenti. Attraversiamo il quartiere universitario, lasciamo alla nostra destra una delle fabbriche farmaceutiche piú significative dellUngheria e ci avviciniamo al parco, che adesso costeggia la nostra strada. Al margine spicca una vegetazione di robinie, una volta legno assai richiesto per la costruzione delle ruote di carretto. Oggi è considerata una pianta infestante e viene sostituita con querce. É trascorsa mezzora da quando abbiamo lasciato lalbergo. Entriamo nel bosco ed è subito silenzio. Una Ghiandaia si incarica di dare lallarme. Camminiamo su un sentiero sabbioso. Sentiamo il cadere delle gocce dacqua sulle foglie: è a causa della nebbia, non è pioggia. Ci fermiamo su invito di János. Tiene in mano un piccolo registratore con altoparlante. Si sente il richiamo di un Picchio rosso maggiore, poi quello piú tipico del Picchio nero. É il primo tentativo di richiamo. Pausa. Siamo tutti a naso in su, non fiatiamo. Un picchio muratore risponde da vicino e irresistibilmente 19 teste si girano a cercarlo, come fosse un primo avvistamento. Scoppi di risa mal soffocate. Di nuovo il registratore diffonde i richiami, fra querce e abeti. Vola un Picchio rosso maggiore, il richiamo sembra funzionare. Andiamo avanti, cè un posto piú adatto, si vedono meglio i rami di queste querce alte e possenti, autentici monumenti della natura. La nebbia avvolge le loro chiome ancora verdi. Avvistato un Picchio rosso minore sul primo albero a destra, in alto, dietro quello con le foglie rosse. Scompare in un attimo lanciando un richiamo di conferma. Siamo nel bosco da piú di unora. Lattesa si fa eccitante, eppure di boschi come questo e di picchi, non quello mezzano, ne vediamo spesso. Si aspetta un avvenimento, ecco cosa è. E avviene. Prima un Picchio rosso maggiore e tutti lo vedono, poi un secondo su un ramo sottostante, che lascia incerti; è di dimensioni inferiori. Si possono confrontare in attimi di concentrazione: è il Picchio rosso mezzano. Presenza troppo breve, lo si vorrebbe ammirare con la guida degli uccelli alla mano. János riprova con il registratore, aspetta un attimo e poi incomincia a grattare con rumore la corteccia di un albero. Ci guardiamo perplessi. Un Rampichino si fa sentire. Alcuni minuti e un Allocco viene a curiosare nei rami sovrastanti, ma è nascosto dalle foglie. Raccomandandoci di non muoverci, ma chi lo fa?, la nostra guida si dirige con la massima cautela verso lalbero su cui sta il gufo e poi sparisce dalla vista. LAllocco dopo un po si sposta e fa bella mostra di sè. Appagato se ne ritorna nel fitto del bosco. "Contenti?" sembra chiedere János che ci propone di proseguire. Si ode un Picchio verde, questo lo riconoscono tutti. Sono quasi tre ore che giriamo nel bosco. Il tempo è trascorso in fretta, ma aspettiamo sempre il Picchio nero, alcune persone non l hanno ancora visto. Un altro tentativo con il registratore e lui risponde: è vicino, si sente tambureggiare. Attesa vana, andiamo un poco avanti. Improvvisamente siamo fuori dal bosco. Una strada lo divide a metá. Parcheggiato a lato cè il nostro bus: non cè dubbio, ci sta anche Kaspar; vuol dire che lescursione termina qui ma non si puó dire che siamo entusiasti, qualcosa manca. "Attenzione, Picchio nero!". Lannuncio rincuora tutti. Eccolo in bella vista dallaltra parte. É proprio grande e robusto, rosso esteso sulla testa: un maschio. Tambureggia un poco e vola sul prossimo tronco, sempre piú nel fitto del bosco. Lo seguiamo e lo ritroviamo subito. Non sembra essere disturbato e non si cura di noi. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per ammirarlo. Succede unaltra bella coincidenza: riappare il Picchio rosso mezzano. Questa volta non ha fretta e se ne sta persino immobile sul tronco a farsi ammirare. É János che poco prima di mezzogiorno ci invita a salire velocemente sul bus: i due picchi non se ne sono andati. Andiamo a pranzo alla csárda di Orthobágy, quella con il trio zigano; adesso incominciamo ad aver fame. Sembra di essere di fretta. É luna e abbiamo già terminato di pranzare. Andiamo di nuovo a controllare i gufi dellaltro giorno. Ci sono ancora. Un passante ci indica altri due alberi. Controlliamo. Altri Gufi. Di nuovo la sensazione di vivere delle grandi soddisfazioni, per queste osservazioni cosí facili e gratificanti che possiamo fare. É trascorsa mezzora. Ci muoviamo sulla strada principale, verso Budapest, per raggiungere i due stagni di Halastói krállitóház. Uno è stato prosciugato e sembra che ci siano dei limicoli. Cè una cappa grigia e la nebbia nasconde buona parte dello stagno, che sembra abbastanza vasto. Nelle lenti del mio cannocchiale appare una Ballerina bianca; non è lunica, è in buona compagnia. Richiamo di Chiurli in volo. Pivieresse, sono sette, fa sapere qualcuno. E stanno un centinaio di metri piú avanti. Le vedo e riconto: sono undici e lo scrivo nel taccuino, sempre a portata di mano. Ci aggiungo tre Totani mori, nove Chiurli, alcuni Piovanelli pancianera. Con János, sempre davanti a tutti, constatiamo la presenza di tre Pivieri dorati. Aspetto fin che uno alzi lala: è bianca. Il colore del piumaggio, a ben guardare, è veramente dorato, non grigio. Andiamo avanti sul margine che separa i due stagni, fra due fitti canneti. Voli di Migliarini, di Gabbiani (Larus cachinnans) e nuvole di Storni. Cè un varco per osservare e ci mettiamo quasi uno sopra laltro cercando di sistemare cavalletti e cannocchiali. Airone cenerino, due Gambecchi, Corriere piccolo in buon numero. Dalla nebbia sbucano tre Becaccini, che seguiamo con attenzione. Atterrano. Le lenti ci aiutano a vederne altre dieci al suolo intenti a sondare la fanghiglia. Manca un quarto alle quattro: è ora di andare in cerca del Falco sacro. Di nuovo allo stesso posto di ieri, stessa atmosfera nebbiosa. Ci fermiamo e prima scrutiamo i dintorni attraverso i finestrini. Gheppi, colombi e Pavoncelle. Kaspar avvia per parcheggiare e mettersi in un posto piú sicuro per scendere. Cè un moto di sorpresa. Sul lato sinistro compare velocissimo un piccolo falco, che vola radente, a pochi metri dal suolo. É grigio scuro e scompare ben presto dalla vista, come fosse inghiottito dal campo arato. Uno Smeriglio, a detta di János, che ci precede. A nessuno sarebbe venuto in mente di dirlo. É difficile individuare un uccello che non si è abituati a vedere e che non ti aspetti. Osserviamo i tralicci, non sembra che la situazione sia migliore. János propone una passeggiata di un chilometro, piú uno per il ritorno, verso i tralicci. Manca un quarto alle cinque e il Gruppo compatto, senza esitare, si mette in marcia. La voglia di fare un altro primo avvistamento fa dimenticare la fatica e da una nuova carica di energia. Siamo di ritorno dopo quarantacinque minuti, l ho scritto sul taccuino. Alla lista degli avvistamenti non posso aggiungere il Falco sacro ma ben 75 Gru, due Gheppi, tre Aironi bianchi maggiori. Nugoli di zanzare ci hanno aiutati a tenere un buon passo. Falco sacro Le previsioni del tempo che ci vengono riferite sono vaghe: non importa, ci si abitua anche a questa nebbia; è preferibile alla pioggia. Questa mattina si è alzata un poco, ma il cielo è di un grigio piombo. A sentire János questa è una situazione meteorologica di novembre inoltrato. Sono le otto del quinto giorno e siamo ansiosi di sapere il programma della giornata. Destinazione puszta, quella alta, ambiente adatto ai rapaci. Sono dati per scontati primi avvistamenti e questo ci predispone allascolto di János; di tempo ne abbiamo. Parla in tedesco, con una voce calma e una pronuncia che suona simpatica. Dimostra una preparazione profonda e sa dire le cose in modo semplice. A volte il tedesco è difficile anche per lui e non trova la parola adatta. Allora fa un giro di parole, gira intorno alla frase, cerca unespressione in sostituzione dellaltra. Chi lo ascolta tiene pronta sulla lingua la parola cercata, ma non osa suggerirla, per non interrompere il discorso che ormai ha una sua tensione e proprio per questo piace. La puszta alta di Hortobágy è a nord. Il terreno è sabbioso e si è formato per lazione del vento e con le alluvioni del fiume Tisza; cosa di alcune ere fa, non dimentichiamolo. Alta non significa essere in montagna, ma solo ad un livello di un paio di metri di piú rispetto al resto della pianura. In Hortobágy ci sono ben 334 specie di uccelli, tutti protetti allinfuori dei Cormorani e degli Aironi cenerini quando vengono sorpresi negli stagni dove si alleva pesce. János, alzando il volume della voce ci dice di guardare a destra. Cè una mandria di bufali dacqua. Razza venuta dallIndia chissá quando; oggi è considerata una razza ungherese. A sinistra ci sono numerose Gru in volo e innumerevoli Aironi bianchi sui prati. Lo segno assieme allora: sono le otto e quaranta. Dieci minuti dopo Kaspar ha raggiunto una fattoria in localitá Kiscserepes. Ci accoglie una colonia di Taccole, il cui numero non riesco a stimare; ci sono anche molte Passere mattugia. Da qui la strada diventa una pista di terra battuta, su cui ci avviamo: porta nella puszta. Avvistiamo subito unAverla maggiore e uno stormo di Allodole si alza, ci sono anche molti Storni. Teniamo gli occhi aperti e avanzando facciamo delle breve soste per controllare con i cannocchiali alberi e cespugli, che qui sono una caratteristica del paesaggio. Famiglie di Gru ci sorvolano. La visibilitá è buona. Le Poiane in volo sono frequenti, le controlliamo tutte: buteo buteo". Avanziamo, sbinocoliamo. Poiane ancora, anche loro in migrazione. Il Gruppo segue János che è concentrato al massimo, non si lascia distrarre. Cè un rapace posato su una robinia di un boschetto vicino. Linformazione viene dal Gruppo. Fermi e in silenzio si osserva. É un individuo scuro, la testa è chiara, bionda quasi: sicuramente non una Poiana. Si alza in volo, ha un comportamento daquila. János raccomanda di guardare la coda. "Banda grigio stagno" dice guardando nel cannocchiale e conferma:" Poiana codabianca (Buteo rufinus)". Sono le nove e mezza e segno per tutti unaltro primo avvistamento. Gioia e sorrisi sui volti. Il taccuino lo devo tenere aperto per scrivere: tre Strillozzi su un ramo secco di un cespuglio, unAlbanella reale maschio, Chiurli in volo, un Gheppio che fa lo spririto santo, richiamo di Allodole. Uno stormo di Cardellini. Due caprioli che mostrano gli specchi nel mio cannocchiale. Ci muoviamo, sempre in avanti, sono giá le dieci. Unaltra Albanella reale, marrone e groppone bianco: una femmina. Un volo agile. Le ali inarcate a V" la fan sembrare ad una farfalla. Vola bassa, si alza, plana: è in esplorazione. Improvvisa cala al suolo e scompare nellerba; si rialza in volo con la preda. Cè un boschetto di pioppi vicino, che viene perlustrato da tutte le ottiche disponibili. "Un Picchio, forse grigio" azzarda qualcuno. Lo cerchiamo, puntiamo i cannocchiali, aspettiamo di vedere bene la testa. "Troppo rosso" si sente dire. Si qualifica da sé facendoci sentire il tipico verso a risata": Picchio verde. Le Pispole in volo sono frequenti e il loro richiamo familiare, un Saltimpalo sta vicino ad un Pettirosso su uno stecco spinoso. Kaspar ci raggiunge con il pullman e ci fa piacere. Ci porta indietro, per raggiungere la fattoria dove lunedí sera abbiamo assististo al volo delle Gru. Cè uno stagno rinaturalizzato: ci sono anatre, forse sono arrivate anche delle oche. Due Cappellacce sono su un muro diroccato di una stalla che vediamo dal pullman, a pochi metri. La serie del primo avvistamento non accenna a diminuire: questa osservazione mancava a diverse persone. Sono passate di poco le undici e siamo alla stessa fattoria. Possiamo salire sulla torre, pochi per volta. Al basso si da uno sguardo intorno. Qua e lá alcuni alberi, uno è secco, degli steccati; in lontananza un pozzo e tutto intorno un orizzonte di erba. Sullalbero secco ci sono cinque Zigoli gialli e quindici Cardellini. Si sente il canto di una Cappellaccia. Passano un Gheppio e un Astore. A portata di binocolo si vedono delle Gru intente a beccare. É il turno di salire sulla torre, son passati tre quarti dora. Ecco lo stagno, veramente un posto grazioso. Scrivo subito le anatre presenti: Mestolone, Germano reale, Canapiglie, Alzavola, Marzaiola. Mi devo interrompere, qualcuno mi invita a guardare nel suo cannocchiale e mi offre una bella sorpresa: una Poiana coda bianca che sembra dorata. É un individuo piú vecchio del primo che abbiamo visto, mi spiega poi János. Adesso cerco le oche in riva allo stagno, che sono state viste prima. Non le vedo. Insisto a frugare con il cannocchiale ogni angolo del canneto e lerba intorno. "Ma dove saranno andate?" chiedo ad alta voce. Questione di abbassare di qualche grado il cannocchiale ed ecco venti tranquille Oche lombardelle minori. Cè tutto il tempo per ammirarle. Alla csárda Halazs, dopo Tiszacsege, ci aspettano per il pranzo: filetto di pesce persico, un buon bicchiere di vino bianco, dolce fatto in casa. Il fiume Tisza scorre accanto e da qui si puó traghettare per andare ad Aroko. La csárda è accogliente: apprezziamo il fatto che sia riscaldata. Larredo ricorda lambiente del fiume e dei pescatori, ci sono anche un paio di gabbiani imbalsamati, che devono essere lí da tempo immemorabile. Su una mensola è esposta anche una volpe imbalsamata, messa in posizione eretta e tiene con una zampa, come fosse una mano, una doppietta e nellaltra un fagiano. Allegoria di cui nessuno sa darci una spiegazione. János ha in serbo una nuova zona da visitare, buona per rapaci. Lappuntamento è per le due. Non occorre cercare nessuno, siamo puntuali e in piena forma. Il pullman viaggia sullargine del fiume Tisza. Nel 1815 in Ungheria si intraprese unopera epica per regolare il fiume Tisza, che scorre per 600 chilometri sul territorio ungherese. Si tagliarono le anse, fu abbassato il livello del letto, si costruirono ben quattromila chilometri di argine, si prosciugarono vasti territori: tutto lavoro manuale. Impresa paragonabile a quella degli Olandesi per costruire le dighe contro il mare. Kaspar conosce il territorio e guida sicuro. Lasciamo largine e ci inoltriamo in una vasta campagna di campi arati e campi di mais. La raccolta del mais è in pieno corso. János richiede la nostra attenzione e Kaspar accosta subito a destra fermandosi. Oche su un campo a sinistra. Binocoli e concentrazione. Sono Oche lombardelle, esemplari adulti e giovani, mischiate con delle Oche selvatiche. Compaiono anche delle Oche lombardelle minori. János vuole essere sicuro che abbiamo ad osservare bene le diversitá che contraddistinguono i due tipi di Oche lombardelle, poi fa segno a Kaspar di proseguire. Contiamo solo il totale delle oche, che sono un settantina. Siamo in viaggio da circa mezzora e la lista delle osservazioni va continuamente aggiornata. Gru in volo, Albanella maschio e un Falco di palude femmina. Di nuovo unAverla maggiore. Ci sono sette caprioli, che vanno pure segnati. Campi di mais, terra nera, voli di Gru, orizzonte di nebbia. Imbocchiamo una pista, si traballa e non si riesce ad usare il binocolo. Kaspar rallenta e poi ferma. La pista è occupata dalle Gru. Siamo comunque nella zona prevista e ci prepariamo per unescursione fra questi campi; mancano venti minuti alle tre. Anche qui Poiane in volo e sugli alberi. Tutti i cannocchiali sono in azione e frugano ogni albero che si vede. " Attenzione, rapace bianco sul pioppo di fronte, oltre il campo" avvisa qualcuno. Difficile scoprirlo, ma dopo alcuni minuti tutti lo hanno individuato. Ha il ventre bianco, la testa pure e a malapena si vedono tre punti neri che sono gli occhi e il becco. Ha le dimensioni di una poiana. Se ne sta immobile. Muove la testa e lascia intravedere una colorazione scura sul dorso. Si incomincia a pensare ad alta voce e a proporre dei nomi, ma la proposta di uno viene contraddetta dallaltro. Nascono ipotesi disparate. Si sfogliano manuali alla ricerca di tutti i rapaci bianchi. Si va per eliminazione e si azzardano nomi di uccelli mai visti da queste parti. Cè tensione: si teme che sinvoli prima di individuarlo, di mancare una raritá. János propone di avvicinarsi. Silenzio assoluto e il Gruppo sincammina in fila indiana, cercando di aggirare lalbero. In tre decidiamo invece di rimanere e di tenere il binocolo puntato. Luccello misterioso è sempre immobile e la manovra di aggiramento non lo disturba. Silenziosamente il bianco rapace sinvola, inarcando le ali che hanno le estremitá nere. La coda è bianca con banda nera. Profilo da Poiana. Sparisce. Aspettiamo il verdetto di János: Poiana calzata. Viene aggiunta alla lista dei primi avvistamenti. É passata unora e ci aspetta ancora una passeggiata nella puszta. Le Albanelle reali sono frequenti; osserviamo anche un individuo giovane, dopo che János ce lha fatto notare. Raggiungiamo lo stesso punto di stamani; sono giá le quattro e mezza. Conosciamo la pista e il paesaggio intorno. Camminiamo e speriamo in una sorpresa. I rapaci sono in migrazione e qui arrivano quelli del Nord. Per questo siamo di nuovo qui. Ci concentriamo e tenacemente perlustriamo i dintorni. Cè un rilievo del terreno con una grossa pietra di confine, non troppo distante. Sopra ci sta un falco dalle dimensioni di una poiana, la testa sembra quasi bianca, con un sottile mustacchio. Vola via lasciandoci a bocca aperta. " É il Falco sacro" ci dice János che guardiamo increduli. E quasi a conferma il falco torna, si mostra e se ne va. Gru in formazione classica a V", voleranno giá verso i dormitori. Albanella reale maschio in vista; e non possiamo fare a meno di ammirare il suo volo: un battito dali, una planata, uno sbandamento per perdere subito quota. Lasciamo la pista per camminare nella prateria. Lerba è alta. Si sente un acuto profumo di essenze, che stimola il naso e fa starnutire. Ma forse è il polline giallo che ci copre gli scarponi come fosse una polvere densa. Qualcuno trova un anfibio di aspetto simile al rospo col ventre arancione: gli esperti lo classificano come anfibio degli Anuri, un ululone. I fotonaturalisti si mettono al lavoro facendo uso del blitz. Alla maggioranza interessa un rapace su un albero a qualche centinaio di metri; per individuarlo dobbiamo per forza avvicinarci. La luce sta calando e ci affrettiamo. Distanza di fuga. Labbiamo chiaro nel binocolo. Un uccello robusto, non puó essere nè uno Sparviero nè un Astore, ma è per forza un falco: si, di nuovo un Falco sacro, e due! Vola via. Ritorniamo, sono le cinque. Camminiamo lentamente in questo mare di erba e si discorre serenamente. Uno stormo di Strillozzi in volo desta ancora il nostro interesse e li contiamo: sono sedici e li scrivo. Il Gruppo cammina compatto verso la pista e il frusciare dellerba mossa dagli scarponi segna il ritmo dei nostri passi. La sera sincontra con la puszta e tutto attorno diviene silenzio. Frullino Ultimo giorno completo da dedicare al birdwatching. La nebbia alta che incombe su Debrecen non ha alcuna influenza sul nostro buon umore. "Un primo avvistamento anche oggi?" è la domanda che ci poniamo. " Possibile" dice János che ci augura il buon giorno. Kaspar conta i passeggeri e avvia: sono le otto. Andiamo prima a Balmazújváros, nome di una cittadina che posso scrivere solo per averlo sottolineato sulla carta stradale. Leggere i cartelli stradali ungheresi per chi non parla questa lingua imparentata con il finlandese è un piccolo problema; per fortuna abbiamo in comune le cifre arabe, con cui sono state numerate anche le strade: questa che percorriamo è la numero 33. Le Averle maggiori prediligono questa regione e la loro presenza sui fili della corrente fa interrompere il filo del racconto mattutino. Se non è János che ci avvisa, lo fa Kaspar. Diligentemente segno quella che stava invece sul filo della corrente al km 13, ore 8.25. Il racconto riprende e parla delle Csárdás, le osterie della puszta. Posti di ristoro lungo le strade, fuori in campagna. Una volta luoghi di riposo per uomini e animali da tiro. Era possibile trovarne una nel raggio di 12 km. Questa che vediamo alla nostra sinistra, faccio a tempo a trascriverne il nome Látokepi", è rimasta famosa per il quadro vedente" che vi era appeso. In veritá il quadro nascondeva una finestrella di una stanza in cui si radunavano per discutere di affari i commercianti di passaggio. Il padrone della csárda poteva mettersi inosservato dallaltra parte e ascoltare con attenzione i discorsi, facendo tesoro delle informazioni ricavate. Le vendeva a chi interessava, insomma una sorta di spionaggio industriale. Kaspar conosce ogni angolo di queste parti e arrivato in cittá ci porta diritto davanti una casa, come ce ne sono tante qui. Cè un giardino sul retro, chiuso da un cancello. Scendiamo e János suona il campanello. Abbiamo il permesso di entrare. Ci sono tre alberi e sono occupati da Gufi. Ce ne meravigliamo quasi come la prima volta. Alcuni sono attivi e volano da un albero allaltro, irritati dalla nostra presenza. Cercando di essere rispettosi, li osserviamo con calma. "Un centinaio di Gufi" sentenzia János e gli dobbiamo credere. Ci avviamo fuori cittá, sono quasi le nove e mezza. Viaggiamo in coda a camion carichi di rifiuti e autobotti dal contenuto non meglio specificato. Facciamo la stessa strada e arriviamo ad una discarica, sorvolata da una moltitudine di gabbiani. Cè puzza, ma ci abituiamo. A terra ci accoglie il richiamo delle Cappellacce: se ne vedono cinque con la cresta alzata, sono al suolo. Cè uno stagno vicino e vale la pena di dare unocchiata. Saliamo sullargine e cerchiamo unapertura del canneto, lesperienza insegna che cè sempre un buco. Trovato e i nove cannocchiali sono subito in azione. Non cè problema di visibilitá, il cielo è coperto: è una tipica giornata grigia di autunno. Mi chiedono di documentare gli avvistamenti: Mestoloni, Alzavole, Marzaiole, Moriglioni, Morette, Canapiglie, un paio di Tuffetti e uno Svasso piccolo. Tralascio un paio di ospiti troppo comuni. Sorvola il canneto unAlbanella reale maschio. Poi seguono quattro Becaccini: li osserviamo sempre con piacere. Sentiamo la tipica risata del Picchio verde. János pensa che nel prato allagato sottostante ci possano essere dei Frullini. Scende dallargine, mentre noi dobbiamo stare fermi dove siamo.Cauto sinoltra nellacquitrino, e cercando di non sprofondare fruga i ciuffi derba con il suo Manfrotto. Disapprovare il metodo? Qualcuno fa un timido tentativo, ma leventuale primo avvistamento, nessuno di noi ha mai visto un Frullino, rende tutti pronti ad un compromesso. Seguiamo la scena con i binocoli. Si alza un uccello: è simile ad un Beccaccino ma col becco palesemente piú corto. Atterra subito dopo una breve parabola, scompare nel folto di un canneto. É un Frullino. János prosegue la sua azione. Non lo molliamo un istante. Altri due Frullini. Questi si alzano in volo e prendono quota. Becco corto, ventre bianco, forma rotonda e corta. Di piú non vediamo. Scompaiono alle nostre spalle. Sono le dieci ed è una soddisfazione aggiungerli alla nostra lista. Ci muoviamo e dal fitto del canneto, annunciati dal tipico tsi-tsi-tsi", ci sorvolano ben tredici Pendolini. Scrivo anche un Piro-piro culbianco, identificato in volo per via del richiamo, del sovracoda e groppone bianchi, ali scure. Kaspar sta giá contando i suoi ospiti, quando la presenza di un Frullino a terra davanti il pullman fa scattare i fotografi che nel giro di secondi scendono, piazzano il Manfrotto, azionano lautofocus. Troppo lenti questi obiettivi, Il Frullino non si fa ritrarre. Sono le dieci e mezza e il nostro autista da gas, sempre con cautela, per tornare in cittá e raggiungere lo stesso posto di ieri mattina. Faremo delle osservazioni dalla torre. Filiamo tranquilli su un rettilineo in aperta campagna e intanto devo segnare sette Cormorani in volo, a sinistra Gru e poi Aironi bianchi: almeno un centinaio. Kaspar frena bruscamente e ferma. János ci invita ad osservare un picchio in bella mostra sul tronco dellalbero che sta al nostro margine. "Perchè non potrebbe essere un Picchio rosso di Siria?" si chiede. Non lo è. In venti minuti siamo alla fattoria: questo luogo è ormai familiare. Dalla torre nessuna novitá, ma osservare è interessante. Avvistiamo subito una Poiana codabianca; sembra lo stesso esemplare di ieri. La visibilità è buona. Aggiorno la lista per dovere di cronaca: Averla maggiore, Codirosso spazzacamino, Ballerina bianca, Zigoli gialli. UnAlbanella reale maschio in volo: nonostante i molti esemplari visti è sempre una sorpresa. Dieci Strillozzi, si posano sullo steccato; poi alcune Cappellacce e unAlbanella reale femmina. "Undici Lombardelle minori" viene segnalato dalla torre, che si invita a lasciar libera per lasciar salire chi non ha potuto farlo prima. Tempo di pranzo e ritorniamo alla csárda che ci ha ospitato ieri. Oggi gulasch di pesce o meglio zuppa di pesce. Gulasch significa letteralmente zuppa del vaccaro. Questa zuppa di pesce è veramente gustosa e ha bisogno di una lunga preparazione. Occorre prima cuocere dei pesci di grandi dimensioni per preparare la base, si aggiunge paprica, si filtra il tutto. Nel brodo ottenuto si fanno cuocere i filetti di pesce persico, altra paprica e la zuppa è pronta da servire. Spiegazione frettolosa del proprietario che naturalmente vuol mantenere segreta la ricetta. Noi non vogliamo i suoi segreti, ci interessa di piú conoscere il sapore del Tokaj. In modo assai discreto e signorile, un amico del gruppo offre due bottiglie. Bastano, perché bere il Tokaj è come bere una medicina e un bicchiere, di troppo sintende, basterebbe a raddoppiare il numero degli uccelli visti. Scioglie molto bene anche la lingua.Tutto vero. Una volta il Tokaj si vendeva nelle farmacie, ma la sua storia è troppo lunga per queste pagine e il mio taccuino non era a portata di mano. Alle due meno un quarto lasciamo di buonissimo umore questa csárda e per la prossima mezzora ci rilassiamo nelle nostre poltrone. Letteralmente di nuovo in pista. Stesso punto di ieri pomeriggio. Secondo János il passo dei rapaci dovrebbe essere aumentato. Individuiamo con sicurezza una Poiana codabianca in volo che viene attaccata da una Albanella reale; non ho scritto se maschio femmina. Averla maggiore, ma quante!, e di nuovo una Poiana coda bianca, tranquilla su un albero. Un Falco di palude, femmina: lho scritto. Faccio un giro dorizzonte con il cannocchiale. Una sagoma di rapace a terra richiede tutta la mia concentrazione. É lontano. Non posso dare la colpa al Tokaj, ma semplicemente non so dire cosa sia. Mi soccorre la nostra guida che annuncia a tutti trattarsi di unaquila marina. Riguardo nel mirino e ne vedo due e la notizia viene accolta con sospetto. "Facciamo una passeggiata" propone János, e siamo subito dietro a lui che si dirige risoluto verso le aquile. Ci sono dei Chiurli in volo e non manchiamo di osservarli: sono sedici. Ancora questa polvere gialla sugli scarponi, fa starnutire. Sono le tre e mezza e ci fermiamo per controllare le aquile. Sono ancora immobili allo stesso posto, troppo distante. Decidiamo di fermarci. Le osservazioni nella puszta finiscono qui: in un mare di erba e dove il cielo si puó veramente toccare con un dito. Passa una famiglia di Gru: sono quattro. Cicogna nera Lasciamo Debrecen. Puntuali anche il giorno del rientro: andremo prima a Budapest e poi in treno fino a casa. Per strada faremo una sosta agli stagni che giá conosciamo vicino ad Hortóbagy. Kaspar si assicura di non lasciare nessuno a terra e ci guida con la dovuta calma fuori cittá. I quartieri che attraversiamo ci sono improvvisamente familiari, sappiamo dove sará il prossimo semaforo e, dopo i brutti edifici di stampo socialista, ci ritroveremo sulla nota strada numero 33. Andiamo a ovest. Il centro di Debrecen labbiamo visitato ieri, verso sera. Imponente è la Chiesa Grande, la maggior chiesa calvinista dUngheria. Stile neoclassico, due campanili: una presenza dominante. Intorno, edifici di stili diversi fanno da corona alla grande piazza. Nello stemma della cittá cè anche una croce svizzera, a ricordo di Calvino. Debrecen è chiamata anche la Roma calvinista". Un capitolo di storia importante in Ungheria l hanno scritta i Romani. Ce ne parla come di consueto János, rispettando la cronologia di battaglie, spedizioni dei Romani contro le popolazioni indigene e incursioni di queste oltre i confini romani. Parla di popoli come gli Avari, gli Unni: tempi epici. Arriviamo agli stagni e scendiamo. Nemmeno il tempo di sfoderare il binocolo. Ci vola incontro veloce, come fosse un rondone, un piccolo falco. Ci azzecca subito János: uno Smeriglio. Forse al prossimo reagiremo piú svelti. Ci sono altri birdwatchers che ci comunicano la raritá del momento: una cicogna nera nello stagno di destra. Esclamazioni di disappunto per chi ha messo via il cannocchiale. Sta a duecento metri in mezzo a decine di Aironi grigi, si mimetizza bene. É un giovane, il becco è scuro e il piumaggio visto da qui è altrettanto grigio scuro, petto e ventre bianchi. Sembra che il suo viaggio verso lidi piú caldi sia piuttosto in ritardo; è andata bene a noi e soprattutto a chi ha fatto un primo avvistamento. Fare birdwatching è anche questo: essere al momento giusto nel posto giusto. Lo stagno di sinistra sembra affollato di limicoli. Si ode il richiamo della Pantana. Ce ne sono tre. Poi si vedono almeno una decina di Pivieresse e altrettanti Pivieri dorati. La differenza si nota bene e non cè bisogno della prova dellala. Volano due Becaccini, il becco tenuto verso il basso. Pavoncelle in discreto numero. Un Corriere grosso giovane fa accendere una discussione di tipo scientifico; si supponeva fosse un Corriere piccolo. Ci sono anche due Totani mori vicino a una Pantana. János fa il confronto ad alta voce per tutti e fa notare le diversitá. Non mancano i Piovanelli pancianera. Ritornando dallargine verso il pullman contiamo ben 27 Pivieresse in volo e poi 70, una piú una meno, Oche selvatiche. Siamo sul pullman e sono passate da poco le dieci: cè unAverla maggiore alla nostra destra ed è lultima che segno. Un Fagiano maschio sta fermo proprio nel centro della strada e gli andiamo incontro. Non fa cenno di muoversi. Kaspar lo avvisa con un colpo di clacson, ma a scansarsi non ci pensa. Ci siamo addosso ormai, suono di tromba e colpo di freno. Sará stato un involo sgraziato, un involo impetuoso, ma si è salvato il collo verde e i due bei bargigli rossi. Ore 10:35. Riponiamo i binocoli e chiudo il taccuino: a Budapest faremo i turisti. Nome e indirizzo della guida ungherese: Lista uccelli osservati
|